Beethoven rilegge il proprio passato: alcune riflessioni sul rapporto tra le ultime due Sonate e l'Op. 10 n. 1

Autori

  • Piero Venturini

Abstract

Questo lavoro ha due tipi di finalità: la prima riguarda piuttosto la riflessione teorica mentre la seconda è basata sulla pratica esecutiva quotidiana.

Dal punto di vista teorico-poietico c’è un’osservazione di partenza solo apparentemente banale. Mentre esiste un’enorme quantità di materiale, sia nella letteratura analitica sia in quella musicologica, che documenta gli influssi di compositori del passato e coevi sull’opera di Beethoven – mi limito a ricordare qui solo i testi di Webster [1995] e Dahlhaus [1990] – non è altrettanto ben documentata l’influenza che il Beethoven giovanile ha nei confronti del compositore maturo. In cosa le ultime opere del genio di Bonn sono debitrici nei confronti delle opere della gioventù? Più genericamente ci si potrebbe anche chiedere quale sia il movente che spinge un compositore a rileggere le proprie opere del passato e con quale chiave di lettura esse vengano reinterpretate.

Dal punto di vista pratico-estesico questo lavoro è partito da un’intuizione estremamente personale e soggettiva: lo studio dell’op. 110 e 111 ha provocato un collegamento spontaneo e irrazionale con l’op 10 n. 1; in pratica, dopo lo studio al pianoforte delle ultime due sonate di Beethoven, lo scrivente si è più volte trovato a canticchiare alcune parti dell’op. 10 n. 1. Visto che il fatto si è ripetuto praticamente dopo ogni seduta di studio, è nata l’esigenza di una ricerca sui rapporti tra le opere in oggetto. Ovviamente la prima cosa è stata chiarire se questi collegamenti avessero un fondamento oggettivo o non si trattasse piuttosto di una forma di vissuto musicale individuale legata ad impressioni soggettive. Le strade battute per evitare il rischio di soggettività sono state due: l’esame della letteratura sull’argomento e l’ancoraggio ad una solida metodologia analitica.

Pubblicato

2006-06-30

Fascicolo

Sezione

Articoli